Son cose che non si dicono mai volentieri, ma Matteo Renzi una l’ha detta giusta. Oggi, a Ginevra, ha sentenziato: «Qui c’è l’Europa che ci piace». Siamo con lui. Davvero la Svizzera è l’Europa che ci piace, al centro geografico dell’Europa, nel cuore del suo spirito più autentico. La Svizzera si guarda attorno e attorno ha le montagne, nord, sud, est, ovest: un castello che sa come dosare i propri ponti levatoi per far entrare o per tenere alla larga. La Svizzera è una confederazione in cui i contraenti il patto sociale il patto sociale lo rispettano, sono sovrani e stanno uniti in lega per fronteggiare nemici o pericoli comuni, altrimenti impari per un solo Cantone. La Svizzera il federalismo vero non l’ha inventato, ma sul federalismo vero ha lanciato una Opa plurisecolare andata piuttosto a buon fine. Da allora di acqua sotto i ponti n’è passata, e talora era acqua nera, come quando ci misero lo zampino la Rivoluzione Francese e il suo figliol prodigo, Napoleone Bonaparte; ma la Svzzera resta comunque migliore di ogni altra democrazia dell’Europa continentale.
La Svizzera il capitalismo lo pratica davvero e infatti è un Paese ricco, tanto ricco da divenire un bene rifugio. La proprietà privata in Svizzera è sacrosanta, come la libertà individuale. La Svizzera non è l’ago della bilancia dei commerci europei, ma ne è il baricentro. Con i 28 Paesi dell’Europa comunitaria scambia e contraccambia, traendone l’80% delle proprie importazioni e vendendovi il 60% delle proprie esportazioni, da sola, sovranamente, autonomamente, battendo una moneta propria che controlla con la propria proverbiale produttività. La Svizzera fa insomma come e meglio di quanto la Gran Bretagna faccia sia con i 28 sia con il grande cugino statunitense: compera quel che vuole, vende di tutto, sa come trarne profitto e si tiene lontana dai guai. La Svizzera considera l’Unione Europea quello che è: un grande mercato di magnifiche opportunità dove vale la pena pascolare quando le cose vanno bene per ritornare lesti al maso quanto minaccia temporale.
La Svizzera non è il paradiso terrestre, ma un Paese che discretamente funziona. In Svizzera gli orologi sono puntuali e liberi; in Italia per far arrivare puntuali i treni il Duce ha tolto la libertà agl’italiani. Le tasse sono alte anche in Svizzera, ma lì gli stipendi sono mediamente elevati vale a dire sul serio retribuenti. Così facendo, nella valli svizzere la “propensione al risparmio” dei cittadini non è solo un titolo illusorio da telegiornale, ma una realtà tangibile. La disoccupazione c’è, ma i tassi loro vorremmo averli noi. La manodopera è altamente qualificata sempre, l’assenteismo e la corruzione sono così ridotte da far sorridere, la formazione professionale non è una bufala da campagna elettorale, la qualità del lavoro non è inferiore alla qualità della vita, la scuola funziona e i servizi pure perché in Svizzera il settore pubblico a stento si distingue, al lato pratico, dal settore privato, essendo la responsabilità illuminata delle comunità vive e operanti sul territorio l’azionista di riferimento reale dell’autorità cantonale.
La Svizzera ha così tante altre cose che i gusti personali ci si possono persino sbizzarrire. I miei amici “tradizionalisti” sottolineano che ci sono l’aborto, l’eutanasia e i “matrimoni” gay: io rispondo che in questo la Svizzera non è affatto originale, visto che è così anche in un mucchio di altri Paesi, ma aggiungo che la Svizzera ha pure, unica in Europa, la libertà del porto d’armi e ancora sventola alle sue belle frontiere e ovunque ci sia uno svizzero quella corposa croce greca bianca in campo rosso che figurò nello stendardo del Sacro Romano Impero di nazione germanica dal secolo XII, spesso nella storia accompagnata dalla scritta Honor et Fidelitas. Un vessillo pure legato ai colori dello scudo di san Maurizio (St. Moritz, un resort da paradiso) che capitanò l’eroica Legione Tebana di quei 6600 soldati romani che, divenuti cristiani, si rifiutarono di passare per le armi i cristiani del Vallese venendo massacrati alla fine del secolo III per ordine dell’imperatore Massimiano (istituita la giacobina repubblica elvetica, Napoleone proibì l’uso del drappo crociato, sostituendolo con un tricolore verde, rosso e giallo). Contrario speculare di ogni nazionalismo, la Svizzera parla ufficialmente quattro lingue di cui è orgogliosamente gelosissima, ma le sue dizioni ufficiali erano in latino. Il folle pangermanesimo l’ha lasciata indifferente e il retorico Risorgimento italiano si è “scordato” del Canton Ticino (meno male). Neutrale, la Svizzera ha combattuto solo e sempre per difendersi, come sarebbe piaciuto anche a un arci-libertarian come Murray N. Rothbard.
Sì, son cose che non si dicono mai volentieri, ma Matteo Renzi una volta tanto una l’ha detta giusta. Era in visita al CERN, ha parlato d’altro probabilmente perché davanti al Large Hadron Collider avrà saputo sfoderare soltanto l’ennesima smorfia alla Mr. Bean, ma l’ha detto. «Qui c’è l’Europa che ci piace»: e infatti la Svizzera non fa parte dall’Unione Europa (chissà se a telecamere spente glielo hanno detto o è ancora come quando il premier disse che il veneziano Marco Polo e il maceratese Matteo Ricci nacquero in Cina).
Marco Respinti
Versione completa e originale
dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 07-07-2015
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