Nel giro di cinque giorni sono scomparsi tre pensatori statunitensi di enorme grandezza. Martin C. Anderson, classe 1936, si è spento il 5 gennaio. Harry V. Jaffa, classe 1918, e Walter Berns, classe 1919, si sono spenti il medesimo giorno, 10 gennaio. Una coincidenza, ma come non vedervi al lavoro un qualche importante arcano, visto che Jaffa e Berns stati a lungo stati due rappresentanti eminenti dell’eredità culturale lasciata da Leo Strauss (1899-1973), il controverso Leo Strauss, anzi forse gli ultimi due capofila straussiani ancora, fino a poco fa, in vita? Sia come sia, con la scomparsa in contemporanea di Anderson, Jaffa e Berns si chiude un’epoca della cultura americana, della cultura della Destra americana. Forse anche questo è in qualche modo un arcano da divinare correttamente.
Martin Anderson era un economista di enorme spessore. Curriculum vitae e cursus honorum specchiati, discepolo tetragono del Libertarianism oggettivista di Ayn Rand (1905-1982), Anderson fu consigliere di primo piano di Richard Nixon (1913-1994) e di Ronald Reagan (1911-2004). Il che significa che fu uno degli uomini chiave di cui Nixon si servì per riorganizzare il Partito Repubblicano dopo la sconfitta di Barry Goldwater (1909-1998) nelle presidenziali del 1964 e soprattutto per mutare tale débâcle in una “disfatta vittoriosa” proprio perché in grado di trasformare il goldwaterismo perdente in reaganismo vincente attraverso la sagace riconquista politica degli Stati del Sud. Alla Casa Bianca fu determinante in molti modi ma certamente indispensabili furono i suoi consigli in economia (oltre all’aver messo fine alla coscrizione obbligatoria). E tutto nonostante abbia abbandonato presto sia Nixon sia Reagan disgustato dal burocratismo veleno che intossica la vera vita politica.
Harry V. Jaffa, scomparso a 96 anni, fu il creatore della celeberrima frase con cui Goldwater nel 1964 rovesciò i tavoli della politica lecchina e leccata, «l’estremismo in difesa della libertà non è un vizio», che però, come troppi scordano, continuava con «la moderazione nel praticare la giustizia non è una virtù». Con Jaffa una delle peculiarità dello straussismo ha toccato un vertice massimo: la re-interpretazione del Founding (l’epoca di fondazione della nazione statunitense) svolta alla luce della filosofia morale e politica aristotelica onde formulare un’idea di eguaglianza non progressista. Forse tutto il regime-change e il nation-building dei neocon della guerra al terrorismo erano già tutti dentro lì: fatto sta che ne è divampato un incendio senza indomabile. L’eruzione finale, spettacolare e maestosa, avvenne con Reagan alla Casa Bianca. Alla Casa Bianca con Reagan era finalmente giunto, dopo anni di attesa, il conservatorismo, oramai strutturatosi in un vero e proprio movimento di opinione forte d’intellettuali, attivisti, periodici, case editrici e think tank. Fu il momento del trionfo, ma coincise con quello del declino. La forza di Reagan si rivelò anche la sua debolezza. Facendo tesoro della lezione del maestro Goldwater, e finendo per superare persino il suo maestro, Reagan compose le varie anime, litigiose, del conservatorismo americano in una sintesi politica che in un determinato momento storico fu in grado di assumere la direzione del Paese, ma non passò molto tempo che gli antichi litigi riaffiorarono. Chiamatelo ozio che è padre dei vizi, evocate gli ozi di Capua o se preferite invocate la vittoria di Pirro, gli è comunque che scoppiarono le “guerre tra conservatori”. All’ultimo sangue. Conservatori classici contro nuovi conservatori, neoconservatori contro tradizionalisti, straussiani contro neo-sudisti, e chi più ne ha più ne metta. E la Sinistra capì che le conveniva sedersi sulla riva del fiume attendendo di veder passare il cadavere dei propri nemici, cadavere che non tardò allora e che non ha tardato nemmeno poi, in mille altri passaggi storico-politici diversi e simili, attualità compresa. La loro fama i neocon se la fecero allora, nel bene e nel male; i tradizionalisti non ne digerirono il successo; i theocon posero radici all’epoca; e a moltissimi parve che la canonizzazione laica di Abraham Lincoln (1809-1965) e l’intronizzazione, da allora e grazie a lui, dell’ideologia da big government, di cui si rese protagonista e alfiere Jaffa, fosse semplicemente il tradimento del vero spirito americano e lo stravolgimento dell’ethos conservatore. Da allora il conservatorismo americano non è mai più stato come prima; ha sempre assomigliato a una guerra civile, fratello contro fratello, pugnalate alle spalle, vecchi amici trasformatisi in nuovi nemici. Ancora.
Berns, scomparso a 93 anni, fu parte integrante di dette “guerre”, fornendo armi di riflessione soprattutto giuridica all’esercito straussiano. Ovvero indispensabili alla galassia neocon. Il suo nome ha sempre fatto il paio con quello di Jaffa, e quindi con lui Berns è sempre stato amato od odiato a seconda dei fronti.
Ora però, a meno che non sia solo il segno della nostra senescenza, tutto questo sembra appartenere solo al passato: Reagan, il reaganismo, le guerre tra reaganiani, il postreaganismo. In più, alle nostre latitudini, cronicamente povere in canna di strumenti adeguati di analisi, questi nomi, queste stagioni sembrano essere solo l’oggetto di culto di qualche iperspecialista; come direbbe Roy Batty di Blade Runner, «e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire». Quel che sbigottisce è proprio questo. Con tutto il maledire quotidiano gli Stati Uniti che da noi molti praticano come una religione, con tutto lo sparlare per anni (scorsi) di neoconservatorismo (ma come, i neocon erano i padroni giudo-pluto-pippo-e-paperino del mondo e sono scomparsi per effetto di una sola semplice elezione presidenziale?…), con tutto il citare gli straussiani senza mi leggerne un rigo, l’Italia resta una zattera di balbuzienti alla deriva a fronte di un mondo di fermenti culturali che è anni-luce avanti il cicaleccio dei nostri “intellettuali” e tanto capace d’incidere nel concreto da condizionare sul serio la vita politica di un Paese che (se a qualcuno fosse sfuggito) resta il più importante del mondo. Proprio non impareremo mai.
Marco Respinti
Pubblicato con il titolo Omaggio a tre colossi repubblicani che ci han lasciato
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord, Milano 16-01-2015
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