Il paradiso non esiste; quello fiscale, naturalmente. Noi tutti che viviamo l’inferno delle tasse lo sappiamo bene.
Prendi lo Ior, per esempio, la banca vaticana: chiacchieratissimo da sempre. Ovvio, perché chi va al mulino per definizione s’infarina, e già il Vangelo ricordava quei tali che son bravissimi a scovare la pagliuzza nell’occhio degli altri pur avendo una trave grande così nel proprio. Dato che dunque lo Ior passa per essere una malfamata casa di appuntamenti tra scambisti di denari loschissimi in nome e per conto della “Chiesa s.p.a.”, la Chiesa s.p.G. (specchiata per Gesù) concede graziosamente al mondo il trastullo dei giochini suoi e si piega docile alle regole che valgono per tutti. Da oggi infatti pretende che chi voglia aprire un conto corrente presso gli sportelli Ior sfoderi un certificato di avvenuto pagamento delle tasse nei propri Paesi di origine. Ottimo.
Nonostante le accuse di tradimento, i cattolici non si sono infatti mai sognati di voler essere cittadini di una “potenza estera”. In Germania sono cittadini tedeschi, in Egitto cittadini egiziani e in Italia cittadini italiani. Obbediscono alle leggi tedesche, egiziane o italiane; pagano le tasse all’erario tedesco, egiziano o italiano; e delle tasse si lamentano come qualsiasi altro cittadini tedesco, egiziano o italiano, ateo, protestante o musulmano che sia. Da duemila anni il motto dei cattolici in questi affari lo ha dettato il loro Capo: «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»; e il limite della decenza e alla sopportazione è per loro lo stesso che per qualsiasi altro cittadino tedesco, egiziano o italiano, ateo, protestante o musulmano che sia: il totalitarismo, che legittima (a norma di diritto naturale, quindi in modo eguale per i cittadini tedeschi, egiziani o italiani, cattolici, atei, protestanti o musulmani che siano) il diritto di resistenza di cui sono colmi anche i libri.
Insomma, da oggi lo Ior chiede a chi vuole aprire un conto lì di rispettare il diritto vigente nei propri Paesi prima ancora di giudicare la bontà di quel diritto. Non è infatti compito dello Ior giudicarlo il diritto dei vari Paesi del mondo. È invece compito di chi (cattolico o no) un certo Paese lo abita giudicare se il diritto lì vigente (per esempio in materia fiscale) sia buono o meno. Se un italiano va allo Ior e chiede di aprire un conto, lo Ior dà per scontato che quell’italiano accetti il diritto vigente nel suo Paese, per esempio le tasse. Se ritiene che la pressione fiscale vigente nel proprio Paese sia esagerata, il cittadino italiano deve protestare in Italia, non certo allo sportello dello Ior ‒anche se allo Ior vuole aprire un conto corrente. Lo Ior non ficca cioè il naso dove non gli compete.
Sostanzialmente allo Ior non gliene frega infatti niente se in Italia le tasse sono troppo alte, e fa bene. Sono infatti gl’italiani a doversene occupare; e, nel novero di quegl’italiani che sono tenuti a occuparsi del regime fiscale italiano, pure i cattolici debbono preoccuparsene, ché sono cittadini di serie A esattamente come tutti gli altri, credessero gli altri pure nei dischi volanti o nel nulla cosmico. Per lo Ior vale cioè il principio laissez-faire, che è la cosa più cattolica che ci sia. Lasciamo ‒ dice lo Ior ‒ che siano i tedeschi, gli egiziani o gl’italiani, cattolici, protestanti, musulmani o atei che siano, a occuparsi delle beghe dei Paesi loro, a lamentarsi di quel che da loro non va, a cambiare quel che dei loro Paesi è sbagliato. Fino ad allora, ognuno dimostri allo Ior la propria patente di laissez-faire, non il certificato di battesimo. Dimostri cioè di essere a pieno titolo cittadino tedesco, egiziano o italiano, chisseneimporta se è cattolico o no, nel momento in cui chiede di aprire da noi un conto corrente.
Ora, per come la Chiesa Cattolica ha sempre nobilmente abitato questo mondo, conterebbe più una stretta di mano che un pezzo di corta stampigliato. Ma i tempi civili (ricordava già due secoli abbondanti fa Edmund Burke) sono passati, e oggi vige un’altra logica: quella della marca da bollo. Poco male: se i Paesi del mondo chiedono anche ai cattolici la marca da bollo per stanarli a dimostrarsi non traditori, volete che la Chiesa Cattolica, che ne ha viste di cotte e di crude, si stracci le veste per così poco? E dunque marca da bollo sia. Tu tedesco, egiziano o italiano prega chi vuoi, ma se vuoi aprire un conto allo Ior dimostra che per le leggi del tuo Paese (che non le ha mica fatte la Chiesa Cattolica) non sei un farabutto. Fine. Un mondo strano, il nostro, in cui oramai occorre spiegarsi anche le cose più ovvie per la paura tremenda che si ha anche dei propri sospetti, ma tant’è. Solo che tutti i Salmi finiscono in Gloria, e allora provate anche solo per un attimo fuggente a pensare cosa diventerà l’attestazione di normalità chiesta dallo Ior nelle mani di Equitalia e delle sue spie di nome Serpico, redditometro, e compagnia cantante…. Immagina, o lettore che adesso ti freghi tutto goduto le mani perché finalmente anche quei puzzoni cattolici dello Ior sono costretti alla trasparenza: immagina cosa quell’attestato di avvenuto pagamento delle tasse italiane che ti chiede la banca vaticana diventerà nella caserma delle Fiamme Gialle, quelle che ti fanno un mazzo così per un cespo di rapanelli dato senza scontrino alla sciùra che ti ha implorato pietà oltre l’orario di chiusura, salvo poi scoprire che certi propri alti graduati sono dei manigoldi da tiggì. Immagina, puoi.
Marco Respinti
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