Rigurgito neo-pagano mascherato in panni consumistici.
O solo innocente evasione ludica per ragazzi… Resta un fatto: c’è molto, molto di peggio
Consumismo, “manie da americani”, “restiamo alle nostre tradizioni”… Bla, bla, bla… Da qualche tempo Hallowe’en (di per sé, la grafia corretta è questa) si festeggia anche in Italia e dallo stesso tempo frasi come queste si sentono ripetere come veri e propri mantra. Il che fa ridere, dato che il “consumismo” non c’entra con il “mercato” (è una disposizione dell’animo, e in un regime di libertà chi può costringere chi?); che Hallowe’en, di estrazione celtica, è stato portato in America Settentrionale dagl’immigrati irlandesi (negli USA ci sono più irlandesi che in Irlanda); che chi rivendica l’attaccamento alle usanze patrie contro gli “amerikani” vive spesso in quelle zone rurali e montane dell’Italia Settentrionale dove il “celtismo” va molto di moda…
Eppure la “paura” della notte delle streghe monta, sovente fra quei “neo-talebani” nostrani (così li definisce il sociologo delle religioni Massimo Introvigne) che, irrigidendo il cristianesimo in un fondamentalismo assurdo, anzitutto fanno un cattivo servizio al cristianesimo stesso (e lo rappresentano come il teologo Hans Küng rappresenta la fedeltà al magistero di Papa Giovanni Paolo II), in secondo luogo dimenticano che – per rimanere in ambito sociologico – è almeno dal Settecento, e certamente dalla Rivoluzione francese, che la cultura popolare (anche quella colta?) si produce a prescindere dalla Chiesa e dalla comunità cristiana, non per formare, quindi, ma per fruirne. «Rifiutare pregiudizialmente tutta la cultura popolare moderna e postmoderna in quanto i suoi modi di produzione non sono religiosi – così la pensa Introvigne – è una conclusione cui il fondamentalismo, concepito in modo rigoroso, non può sottrarsi: ma è anche una conclusione che chiude il credente fondamentalista in un ghetto e lo condanna ad alimentarsi di quel poco che è ancora prodotto dall’interno della sfera religiosa».
Ma, prima di tutto, cosa è Hallowe’en?
Celti, sempre celti
Sta per “All Hallows’ Eve”, la vigilia della festa – cristiana, cristianissima – di Ognissanti. Lo scrittore Charles Williams (1886-1945), membro degl’Inklings e “protetto” da Thomas Stearns Eliot, firmò un romanzo proprio con questo titolo appena prima di morire, La vigilia di Ognissanti (trad. it. Rusconi, Milano 1975). Voleva scrivere un “Paradiso” dopo aver pubblicato nel 1937 Descent into Hell, il suo “Inferno”. Produsse, invece, un “Purgatorio”.
Cade la notte del 31 ottobre, che in quello che viene definito calendario celtico segna la solennità di Samhain (pronunciato qualcosa come “sau-in”). Il dizionario irlandese-inglese dell’autorevolissima Irish Texts Society lo definisce così: «[…] festa dei morti in era pagana e in era cristiana, indicante la fine dei raccolti e l’inizio della stagione invernale che dura fino a maggio, durante la quale le truppe (specialmente i Fianna) rimanevano acquartierate. Si riteneva che in questo periodo il popolo fatato fosse particolarmente attivo». Nella parlata scozzese è detto anche “Hallowtide”, festa di “tutte le anime” evidentemente defunte. L’originale gaelico viene ricostruito come composizione di “Sam” e di “Fuin”, ossia “fine dell’estate”. Ma, prosegue il dizionario dell’Irish Texts Society, «[c]ontrariamente alle informazioni pubblicate da molte organizzazioni, non vi è prova archeologica o letteraria indicante che Samhain fosse una divinità. Gli dèi celtici dei morti erano Gwynn ap Nudd per i britanni e Arawn per i gallesi. Gl’irlandesi non avevano invece un “signore dei morti” in quanto tale».
I celti credevano che alla fine di ottobre i defunti visitassero i vivi sulla terra. Dopo la conquista romana, a Samhain si mescolarono festività tipicamente latine quali i Feralia e i Pomona: con i primi si onoravano i trapassati e con i secondi si festeggiava il raccolto chiamato come la divinità
femminile dei frutti (in particolare dei pomi) e degli alberi.
Fu attorno al secolo VIII che la Chiesa cattolica fece del 1° novembre la giornata della commemorazione di tutti quei santi che non avevano alcuna memoria particolare in alcun altro giorno specifico dell’anno. La Chiesa fa sempre così: si sovrappone alle feste precristiane, esaltando il significato religioso delle stesse e sublimandolo nell’annuncio della Buona Novella. La Messa del giorno dei santi si celebrava la sera della vigilia preceduta da una veglia e così l’“Allhallowsmas” divenne la “All Hallows Eve”, quindi “Hallowe’en”.
Fra Ognissanti e Samhain, Hallowe’en sopravvisse in Irlanda più come folclore che come resto pagano. E quando nel secolo XIX iniziò il penoso esodo degl’irlandesi verso il Nuovo Mondo, spinti soprattutto dalla fame, Hallowe’en sbarcò in America. Per alcuni cominciò ad assumere i contorni di un tempo nefasto, la Notte del Diavolo o dell’Inferno. E se nel Vermont la si chiama “notte del cavolo”, ci fu chi volle giocare con la superstizione di altri (si ricordi che anche il primo Klu Klux Klan fu goliardico in origine, mirando a sfruttare la creduloneria) eleggendo Hallowe’en a notte per tirare scherzi spesso burloni a volte mancini. Da qui, e anche per l’azione positiva di alcune piccole comunità del territorio nordamericano, Hallowe’en fu trasformato in una “festa per la famiglia” fra dolcetti e scherzetti, prima dei rigori dell’inverno, ma soprattutto come mattana precedente il composto silenzio orante delle giornate dei santi e dei defunti. Un po’ come il Carnevale prima della Quaresima, il cui senso, comunque, è la Pasqua.
La lanterna infernale
Americanata? Mah, in Sicilia i ragazzetti credono che le anime dei propri cari defunti tornino a trovarli la vigilia del 2 novembre lasciando, non visti, sul tavolo la tradizionale frutta martorana. Tipo Babbo Natale-Santa Claus, un’altra figura che a tempo debito varrà la pena di salvare dalle ire dei “neo-talebani”. E nel cattolicissimo Messico si celebra “El Día de los Muertos” con caroselli e feste che certuni potrebbero definire neo-paganesimo o sincretismo. Lì però è forse la festa più importante dell’anno e le celebrazioni per i defunti del calendario liturgico iniziano la sera del 31 ottobre per riecheggiare fino al “Day of the Dead” che si solennizza nella vicina Arizona.
Ma le zucche? Presto detto. Roba americana con cuore europeo. C’era un volta un tizio di nome Jack, che alcuni dicono divenne scontroso, taciturno e solitario dopo aver perso moglie e figli, e che invece altri descrivono come un uomo onesto ma poco lavoratore. Le versioni della leggenda sono molte. Fatto sta che Jack è schivato da tutti. Un giorno muore. Si presenta in Paradiso, ma non lo vogliono. Bussa all’Inferno, ma anche lì nulla. Anzi, il diavolo lo caccia in malo modo tirandogli appresso un tizzone. Per non scottarsi, Jack scava una zucca (per altri una rapa) e vi adagia la fiamma. Con questa può farsi luce sulla Terra di notte, dove vaga evitato da tutti per il suo aspetto terrificante. Una seconda versione dice che egli strinse un patto con il Signore degli Abissi e che questi gli promise ospitalità fra i tepori infernali solo in cambio della sua anima. Jack rispose però che al buio non avrebbe mai trovato un sostituto e così ottenne l’infera luce. Adagiatala in una zucca, la spacciò per la testa di un suo doppio.
Nacque Jack-o’-Lantern. La sua strana storia lega il tema dei tiepidi vomitati dalla bocca di Dio e le difficoltà teologiche che molti cristiani non cattolici provano a fronte della dottrina sul Purgatorio. Le medesime difficoltà alla base del “mito del vampiro” nell’epoca moderna.
Neostregoni a go go
Gli è però che sempre più, anche in Italia, fra il merchandising e i gadget di Hallowe’en sbucano libri più seri, o seriosi, sulla Wicca. Ossia la neostregoneria panteista e naturista di origine britannica, che, diffusissima negli USA, si fonda sul culto di un dio e di una dea a cui gli adepti danno il nome che vogliono, cioè identificano con una divinità nota di un pantheon antico a piacere.
È una religione e non una semplice spiritualità, precisano i suoi adepti, ma non è una Chiesa. Anche se negli USA chiede di essere riconosciuta pubblicamente, visto il numero grande e crescente dei suoi accoliti. Non ha infatti un rituale univoco né una teologia monolitica.
Uno studio realizzato nel 2001 dal CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni con il patrocinio della Regione Lombardia – Aspetti spirituali dei revival celtici e tradizionali in Lombardia (Sinergie, Milano; tel.02/98281840) –, ne traccia sinteticamente la storia e ne mostra lo sbarco anche in alcune zone italiane. La Wicca (deve il nome all’anglosassone per “strega”, per i
wiccan termine asessuato) è però decisamente moderna e quindi davvero neo-pagana. La sua continuità con culti antichi è infatti del tutto teorica. Oggi però approfitta di Hallowe’en non per fare proseliti (detesta la cosa), ma certamente per farsi conoscere.
Trama oscura del Grande Nemico? Sfogliate uno dei manuali italiani della Wicca e poi ne riparliamo…
E allora Hallowe’en? Resta un gioco. Anzi, prendiamo tutti a mettere delle zucche illuminate sul buio dei nostri balconi. Terranno lontano persino il demonio che rifiutò il disperato Jack. Come nel Medioevo si faceva con gargoyle e doccioni.
Samwise
WICCA!…
Breve rassegna di manuali italiani della neostregoneria neopagana, fondata da Gerald Brosseau Gardner (1884-11964), che però non tutti i wiccan riconoscono come proprio “padre”
> Scott Cunningham, Wicca, trad. it. Armenia, Milano 2001;
> Idem, Wicca oggi, Armenia 2003;
> MoonChild, I segreti della Wicca, Armenia 2003;
> Silver RavenWolf, Incantesimi per giovani streghe, Armenia 2003;
> Laura Rangoni, La wicca. Manuale della strega buona, Xenia, Milano 2002.
> Specificamente dedicato alla “veglia delle streghe”, e scritto da una sacerdotessa (nonché romanziera) wiccan, è La notte di Halloween, (Armenia, 2002) di Silver RavenWolf.
> Simpatico, per ragazzi, è Halloween, la vera storia (Giunti Kids; Firenze 2001).
Pubblicato con il medesimo titolo in
il Domenicale. Settimanale di cultura, anno II, n. 44 Milano 1-11- 2003, p. 9
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